Le Cronache del Dado ep. -1
“Buona questa cosa, cosa hai detto che è Mogh?”, disse Piumino mentre mangiava con gusto un dolce piantato su una stecca. “Si chiama pesce caramellato. Una specialità di Vogler, sai?”, rispose Mogh mentre mangiava la sua porzione. Piumino rimase perplesso, “Strane acque quelle di Vogler. Da me i pesci sanno di…pesce” fece. Mogh incominciò a ridere e per poco non si strozzava, “mi fai morire Piumino! Dovresti scriverle certe battute”. Ma ciò non fece che aumentare la perplessità del Kenku. Percival e Baltazar, invece, stavano discutendo tra di loro. L’argomento era un certo libro, “Gli Araldi non Dimenticati”, non proprio l’argomento preferito del mago, ma ci si doveva accontentare in certe situazioni.
“Lei è il cavaliere Brightblade, vero?”, un ragazzo era sbucato dalla folla, nei suoi occhi si poteva vedere l’ammirazione che aveva per Percival. “Si ragazzo, sono io”, rispose. “Piacere signor cavaliere di Solamnia. Sono Darrett Hightower, lo scudiero di Becklin”. Mogh alzò gli occhi al cielo, “ciao Darrett, ti ho visto che guardavi Percival alla locanda, proprio come Piumino sta guardando quel pesce caramellato”. Il ragazzo divenne un pò rosso nel viso, “mi dispiace importunarvi”, disse, “ma Becklin mi ha detto di dirvi di prepararvi per la rievocazione. Non vedo l’ora di vedere i due eserciti scontrarsi!”, e agitò in aria le mani come se stesse combattendo armato di spada. Percival lo guardò bene. I suoi movimenti non erano casuali. Il ragazzo era stato allenato e anche bene. “Senti Darrett”, gli disse Percival mentre si staccava la spada dal cinturone, “Ispin mi ha affidato il suo equipaggiamento, perciò il mio vecchio scudo e la mia vecchia spada mi sono solo di intralcio. Non è che potresti portarle al posto mio?”. Darrett rimase con la bocca aperta, il viso ancora più rosso di prima. “C-certo mio signore. Ne sarei onorato”. Con fare timido allungò le mani e prese il vecchio equipaggiamento di Percival. Il cavaliere gli sorrise, “mi raccomando Darrett, trattali con cura”. “Lo farò senz’altro”, disse con gli occhi lucidi, “mi raccomando, Becklin ha detto di sbrigarsi. Non voglio mettervi pressioni, ma quando dice una cosa è meglio farla”.
Una folla si era radunata davanti al cancello nord di Vogler. Indossavano i colori dei Cavalieri di Solamnia e impugnavano spade di legno. Canti e risate riempivano l’aria. “Stiamo andando all’alto colle, è là che ci fu la battaglia centinaia di anni fa!”, disse Mogh al resto del gruppo. Baltazar non poteva credere a cosa stava per fare, lui che partecipava ad una battaglia, anche se fittizia, la cosa gli pareva totalmente insensata. Appena passato il cancello, la gente di Vogler si incamminò seguendo una strada sterrata che piano piano saliva. Il mago guardò Mogh che sprizzava energia da tutti i pori, “scusami Mogh, ti volevo chiedere una cosa. Solitamente, ci sono dei feriti durante la rievocazione?”. Il goblin ricambiò lo sguardo, “sì signor Baltazar. Pensa che l’anno scorso dieci persone hanno perso un braccio!”, e incominciò a ridere. Il mago non era sicuro che Mogh stesse scherzando, ma ormai non poteva tirarsi indietro. Lo doveva a Ispin.
Dopo un’ora di cammino incominciarono a intravedere il colle: un verde prato lo ricopriva completamente, la strada sterrata finiva precisamente davanti un imponente quercia, che torreggiava sulla cima della collina. I cittadini di Vogler presero posizione, tutti con gli scudi alzati, uno di fianco all’altro. Percival era al centro della prima fila, la sua armatura rifletteva i raggi del sole che stava per raggiungere il suo zenit. Le persone intorno a lui lo fissavano, come se stessero guardando il Cavaliere Vogler in persona. In fondo al colle, a nord, il reggimento Ironclad teneva alto il vessillo di Istar. I mercenari di Cudgel erano pronti a caricare al primo segnale. I cori di Solamnia si facevano sempre più forti. Era giunto il momento: Percival protese in avanti la spada d’argento di Ispin e con tutto il fiato che aveva nei polmoni urlò, “SOLDATI DI SOLAMNIA, CARICA!”. Un grido di battaglia si levò da entrambe le fazioni e gli uomini incominciarono a correre. I due eserciti erano a un passo dallo scontrarsi quando Piumino si accorse di un particolare. Ma era troppo tardi. Percival che aveva caricato con la prima fila, vide gli uomini accanto a lui cadere a terra tra urla di dolore. Del sangue gli schizzò nel viso. Poi vide che quella estratta dal ventre di un suo compagno era una vera spada, affilata come un rasoio. Non ci pensò un attimo di più e si gettò contro il nemico.
Baltazar e Mogh erano nelle retrovie, con calma stavano raggiungendo la mischia a metà del pendio. Più si avvicinavano e meno la cosa aveva senso. Erano corpi a terra quelli? Perchè stanno scappando quelle persone? Non riuscirono a pensare ad altro che un mercenario a cavallo sbucò dall’ammasso di persone armato di una mazza ferrata. Passò accanto ad popolano con gli abiti di Solamnia e abbattè la mazza sul suo cranio spaccandolo a metà. Il corpo dell’uomo cadde a terra, la testa che zampillava sangue ovunque. Il cavaliere non fermò la sua carica e puntò Baltazar. Completamente nel panico, estrasse il suo libro di incantesimi, “Questo no…mmmhhh vediamo, questo no”. Mogh poteva già vedere pezzi del suo cervello sparsi tra i fili d’erba. “Ah sì! Questo può andare”, esclamò il mago. Il mercenario incominciò a roteare la mazza sopra la testa, li aveva quasi raggiunti. “FAN-FARIM!”. Una piccola scintilla comparve tra le mani del mago e quando protese le sue dita verso il cavaliere, da esse partì un dardo infuocato che prese in pieno il cavallo facendolo stramazzare al suolo. Il mercenerio venne sbalzato in aria e precipitò poco distante da Mogh. Con il volto insanguinato incominciò a strisciare per terra in direzione della sua mazza ferrata. Mogh era rimasto a bocca aperta, “cosa è che hai detto? Fanfarchè?”, come aveva appena fatto il mago, anche lui puntò le sue dita verso il soldato strisciante. Dopodichè esclamò, “Fanfarchè!”. Dal terreno sbucò un grottesco tentacolo che afferrò da dietro il mercenario. Colto dal panico provò a toglierselo di dosso, ma il tentacolo lo strinse ancor più forte. Si sentì un rumore di ossa che si rompevano. Il cavaliere non riusciva neanche più ad urlare. Dopo pochi attimi esalò il suo ultimo respiro e il tentacolo scomparve proprio come era venuto. Baltazar guardò stupito il goblin. L’unica cosa di cui era certo era che non si trattasse di magia arcana, ma per il momento era contento di avere un goblin pescatore con peculiari abilità al suo fianco.
Piumino schivò il fendente di un mercenario ma nel farlo scivolò a terra. Anche se erano passati pochi minuti dall’inizio della battaglia, il terreno era già diventato un misto di fango e sangue. Il Kenku provò a rotolare lontano dalla mischia per evitare di essere calpestato a morte, ma quello che lo aveva attaccato prima gli si lanciò addosso. Letteralmente. Con un abile movimento Piumino estrasse una freccia dalla faretra e la gravità fece il resto. Il mercenario si impalò sulla punta affilata della freccia e rimase lì fermo con la bocca spalancata, come se non credesse a cosa fosse appena successo. L’uomo-pennuto se lo scrollò di dosso e provò ad alzarsi in piedi per capire cosa diavolo fosse successo. Ma sull’alta collina c’era il caos: gli abitanti di Vogler urlavano e scappavano mentre i mercenari del reggimento Ironclad li rincorrevano senza pietà. C’era chi provava a difendersi ma quando un uomo con una spada di legno incontra un uomo con una spada vera, quello con la spada di legno è un uomo morto. Ad un certo punto Piumino sentì una voce familiare. Cudgel Ironsmile, il capo degli Ironclad. Lei poteva fermare tutto questo. Così cercò di capire da dove provenisse la voce ma non ci riuscì. Ma non tutti i mali vengono per nuocere. Infatti vide Mogh e Baltazar che si stavano riparando dietro quello che sembrava uno scudo magico, circondati da quattro soldati nemici. Non avevano molto tempo prima che venissero sopraffatti. Piumino sguainò la sua lama corta e partì alla carica.
In preda alla furia, Percival falciava un nemico dopo l’altro. Ma non bastava. Non riusciva a salvare abbastanza persone da quel massacro inumano. La cosa non faceva altro che alimentare ancora di più la furia del Cavaliere di Solamnia. Erano arretrati molto sul campo di battaglia, e adesso stavano combattendo sul versante sud della collina. “Forza! Venite da me!”, urlava Percival, cercando di attirare più nemici che potesse. Ma nessuno sano di mente lo avrebbe fatto, molto meglio uccidere dei poveri pescatori armati di spade di legno, che fronteggiare un cavaliere con l’armatura completamente sporca di sangue. Ma le preghiere di Percival furono comunque esaudite. Un mercenario armato di lancia lo caricò a dorso di un cavallo. Il cavaliere di Solamnia strinse i lacci dello scudo fino a che non si sentì più il sangue scorrere nel braccio, piantò i piedi a terra e si preparò all’impatto. Appena sentì il colpo, spinse in alto con tutta la forza che aveva. Per l’avversario fu come sbattere contro un muro. L’asta della lancia si spezzò e il mercenario volò dal cavallo, producendo un crac quando colpì il terreno fangoso. Con fermezza Percival prese le briglie del cavallo e con un agile movimento ci salì sopra. “Vi pentirete per ciò che avete fatto”.
Mogh e Baltazar erano circondati, lo scudo magico del mago stava per cedere. “Non puoi fare un altro Fanbimbim?”, disse Mogh con il suo coltello trinciapesci in mano. Baltazar, allo stremo delle forze e con il sudore che gli colava copiosamente dalla fronte, si girò verso il goblin, “pensi che io sia una specie di divinità? Non posso usare altri incantesimi mentre sono concentrato a non farci ammazzare!”, rispose urlando. Sentirono l’ennesimo colpo sulla barriera protettiva, una crepa comparve sulla superficie traslucida dello scudo magico. Il goblin si strinse alla gamba del mago, “beh, è stato un piacere aver combattuto con te, vecchio strampalato”, disse mentre guardava un mercenario che caricava un fendente con la spada. Ma poi vide come un’ombra dietro i loro assalitori. Un’essere nero come la notte, incappucciato, si gettò contro il soldato con la spada alzata. Mirò all’altezza del ginocchio e con la sua spada corta tagliò. Il mercenario cadde a terra urlando e gli altri tre si girarono per vedere cosa era successo. Un grande errore. Baltazar, con un sospiro di sollievo, rilasciò lo scudo magico e Mogh, sempre con le lacrime agli occhi, partì a corsa agitando il coltello in aria. Si lanciò contro uno dei soldati e lo pugnalò al petto. Entrambi caddero nel fango e in preda alla furia il goblin incominciò a pugnalarlo ancora. E ancora. Il sangue gli ricoprì completamente la faccia e le mani. Giurò di sentire una voce ridacchiargli in testa mentre dava l’ennesima coltellata nel petto del mercenario.
Percival scorse in lontananza i suoi nuovi conoscenti, che erano appena riusciti a far fuori i loro assalitori. Spronò il cavallo e si avviò verso di loro a gran velocità. Baltazar non era mai stato così contento in vita sua: “finalmente cavaliere Brightblade! Adesso può prendere in mano la situazione. Invece io penso che mi ritirerò sotto la grande quercia…”, disse massaggiandosi la schiena. Ma il destino non era d’accordo con il vecchio mago: un’enorme figura, circondata da un gruppo di quattro mercenari, si fece strada nella mischia a colpi d’ascia, fino ad arrivare a una ventina di metri da Percival e il resto del gruppo. Era un mezz’ogre in armatura a piastre, teneva un pezzo di ferro che ricordava un’ascia bipenne appoggiato sulla spalla. Sputò per terra e rise guardando il cavaliere di Solamnia, “guardate ragazzi, c’è qualcuno che pensa ancora sia tutto una farsa. Scommetto che la mamma ti ha cucito il vestitino con tanto amore, non è vero?”, disse mentre guardava i mercenari che sghignazzavano intorno a lui. Percival non disse nulla. Le vene sul collo gli pulsavano dalla rabbia, la spada stretta tra le mani fino a far diventare le nocche bianche. Baltazar si accorse che si trattava di una provocazione, ma non fece in tempo a mettere in guardia il cavaliere di Solamnia che si era già lanciato in avanti con il cavallo, puntando la spada contro l’enorme figura. In pochi secondi gli fu davanti, pronto a colpirlo di taglio. Ma il mezz’ogre era ben più veloce di quanto Percival si fosse mai potuto aspettare: roteò agilmente la sua ascia e si mosse di lato, con la parte piatta dell’arma assestò un colpò sul petto del cavaliere, facendolo volare per terra. Il cavallo continuò la sua corsa e si fermò pochi metri più avanti. Percival non riusciva più a respirare, molto probabilmente si era rotto lo sterno e qualche costola. Era lì, per terra, con lo sguardo verso l’alto e la vista offuscata. Vide un’ombra che incombeva su di lui e poi vide tutto nero.
Piumino aveva già incoccato una freccia quando Percival aveva caricato, inconsciamente, il gruppo nemico. Vide il mezz’ogre che alzava la sua ascia per assestare il colpo finale a Percival, e scoccò. Il dardo si conficcò sulla spalla del colosso, che dovette lasciar andare l’ascia per terra. “Forza! Prendeteli!”, urlò dolorante. Mogh partì a corsa verso i mercenari, non prima di aver gridato, “cazzo si! Bravo Piumino!”. Baltazar non ce la faceva più invece, le sue ginocchia tremavano e riusciva a malapena a sorreggersi in piedi grazie al bastone. “Forza forza, tutti quegli anni a studiare e poi non riesco a mettere in pratica la teoria? Giammai!”. Il mago prese il suo libro di incantesimi e lo incominciò a sfogliare. “Eccoti qua, vediamo se riuscite a schivare questi, FAN FARIM!”. Tre dardi uscirono dalle mani di Baltazar e percorsero lo spazio che lo separava dai mercenari in pochi secondi. Tre dei soldati avversari provarono a buttarsi di lato per schivare l’incantesimo, ma il loro tentativo fu vano. All’ultimo momento, i dardi magici cambiarono direzione, colpendo in pieno petto i tre mercenari. L’energia di pura forza danneggiò gravemente i loro organi interni e poterono soltanto rimanere a terra ad ansimare. Nel frattempo Mogh si era avvicinato al mezz’ogre, “oh no! Mi sa che hai pestato un tentacolo”, gli disse, indicandogli i piedi. Dolorante, il mezz’ogre fece un passo nella direzione del goblin. Stringendo i pugni, disse, “pensi che sia così scemo da cadere in una cazzata del genere? Ora ti schiaccio la testa con le mie mani, verme!”. Provò a fare un altro passo ma la gamba rimase ferma, “ma che cazzo?”, fece il mezz’ogre, guardando un tentacolo che sbucava dal terreno stringergli la caviglia. Guardò nuovamente Mogh, che fece spallucce, “te l’ho detto che avevi pestato un tentacolo”, disse il goblin sbeffeggiandolo. Partì un’altra freccia e questa fece centro. Il mezz’ogre si toccò la fronte e sentì un’asta di legno. La estrasse con forza e poi cadde a terra, facendo lo stesso rumore di un macigno che colpisce il suolo. L’ultimo soldato lasciò andare la spada e alzò le mani, “m-mi arrendo”, disse tremante. Vedendo il loro comandante morto, il resto dei mercenari incominciò a chiamare la ritirata e fuggirono verso sud, al di là dell’Alto Colle. La carneficina era finita. Ora era il tempo delle risposte.
Il Granchio d’Ottone era stato adibito a ospedale di fortuna: i tavoli erano occupati da cittadini morenti, garze insanguinate coprivano quasi tutto il pavimento e chi aveva qualche conoscenza medica di base provava a fare il possibile per salvare le vittime del massacro. Percival si era tolto i guanti e i bracciali della sua armatura e, insieme agli altri, aveva portato più persone possibile a Vogler. I cittadini del piccolo villaggio lo guardavano con ammirazione e stupore, increduli di trovarsi davanti a un messaggero delle antiche divinità di Ansalon. La voce si era sparsa in fretta: appena finita la battaglia, Baltazar gli aveva fatto bere una pozione magica curativa. Il cavaliere di Solamnia si era ripreso e accortosi della strage intorno a lui si era precipitato dai feriti e aveva salvato da morte certa una decina di persone utilizzando soltanto la sua imposizione delle mani. Adesso però, il cavaliere non aveva più potere divino a disposizione e l’unica cosa che poteva fare era portare più feriti possibili al Granchio d’Ottone.
Baltazar era occupato a preparare unguenti alchemici: all’interno di un mortaio stava schiacciando foglie di oleandro e bacche di bruma, dopodichè aggiungeva piano piano un liquido da un’ampolla. “Basta strofinare un po' di unguento sulle ferite, in questo modo non si infetteranno”, disse il mago mentre porgeva la sua medicina all’oste della locanda, dopodichè si asciugò il sudore dalla fronte e si guardò le mani tremanti. “Tutto bene Baltazar?”, gli fece Piumino, “si Piumino, penso sia soltanto un effetto collaterale dell’adrenalina nel mio sangue. Nonostante la mia età è la prima volta che vivo un’esperienza del genere e sinceramente ne avrei fatto volentieri a meno”, rispose Baltazar mentre tornava a mischiare gli ingredienti per l’unguento curativo.
“Forza! Preparate altri tavoli! Tu! Spostalo di là! Abbiamo bisogno di altre garze! Dove è Becklin?”, il sindaco Raven stava cercando di gestire quel caos al meglio che poteva, il suo viso era pallido a madido di sudore, “ottimo lavoro Mogh”, disse. Il goblin stava ricucendo una ferita utilizzando un piccolo amo da pesca come ago da sutura, “cerco di fare il possibile sindaco Raven, ma dove è Cudgel? Non l’ho più vista da dopo la battaglia, è stata lei a ordinare il massacro?”. Il sindaco, mentre strappava alcuni panni in modo da creare nuove garze, rispose, “no Mogh, Cudgel non c’entra nulla, è stata tutto il tempo con Becklin e non ha esitato a fermare i suoi sottoposti sull’Alto Colle. Non capisco cosa stia succedendo, perchè proprio a noi?”, gli occhi del sindaco incominciarono ad arrossire e alcune lacrime le rigarono il viso. “Per quanto anche io abbia voglia di piangere, ora non è il momento di farsi prendere dai sentimentalismi, sindaco Raven”, disse fermamente Mogh,”con questo ho finito, chi ha bisogno di essere ricucito da un pescatore?”, gridò mentre si spostava verso un altro tavolo.
Becklin e Cudgel entrarono dalla porta della taverna, “Percival!”, urlò la cavaliera, “abbiamo bisogno di te, vieni fuori”. Tutti e tre uscirono, e si recarono davanti una piccola baracca in legno. Cudgel fissava in basso, quando iniziò a parlare, “siamo riusciti a catturare uno dei miei-“, fece una piccola interruzione e poi riprese il discorso, “uno dei traditori, si chiama Svilnt. Se deciderai di interrogarlo ti chiedo solamente di non fargli troppo del male. Sembrerò sciocca ma sono pur sempre il loro capo”. Percival guardò la nana senza dire nulla e aprì la porta della baracca: all’interno c’erano attrezzature per pescare e alcune casse, al centro, sopra una sedia, sedeva un uomo con le mani e i piedi legati con una rete da pesca. Percival chiuse la porta alle sue spalle. “Quindi il tuo nome è Sviltn”, disse, l’uomo lo guardò e abbassò lo sguardo, il Cavaliere di Solamnia continuò, “sai, la gente crede che non ci sia cosa più dolorosa della morte ma si sbaglia. Per me, ad esempio, non c’è sofferenza più grande che vedere il mio onore infangato. Guardandoti capisco che ho ragione a pensarla così, meglio essere morto che tradire coloro che ti hanno ospitato”. Percival fece un passo verso il prigioniero. Sviltn sbuffò, “non hai tutti i torti cavaliere, quello che ho fatto è disdicevole ma le nostri morali vivono su due piani opposti. Se per te è l’onore che comanda le tue azioni, per me lo sono i soldi”, fece. “Parli di soldi, qualcuno vi ha pagato per commettere quelle atrocità?”, nella voce di Percival si poteva sentire la rabbia che cresceva, “chi vi ha ingaggiati? Forza parla!”. Il mercenario non sembrava turbato dalle parole del cavaliere, almeno non più di quanto lo fosse già. “Per te è facile parlare”, disse, “con quell’armatura scintillante e la spada ornata, non conosci cosa voglia dire morire di fame o di freddo. Se essere una lama a pagamento offende i tuoi ideali, beh, mi dispiace. Ma avere la pancia piena e una tenda sopra la testa hanno la priorità per come la vedo io”. Percival stava perdendo la pazienza, si avvicinò ancora di più a Sviltn, e intorno a lui l’aria incominciò a tremare: un’aura bluastra incorniciava la figura del cavaliere di Solamnia che afferrò il mercenario per la camicia, “essere un mercenario non vuol dire commettere atrocità del genere! Cudgel si fidava di voi e voi l’avete tradita. Non ti mettere a parlare di ingiustizie sociali, perchè avevi una scelta davanti a te, e, consapevolmente, hai scelto la via più facile. Pensi che i miei ideali rimangano puri senza nessun sacrificio? Non pensi sia più facile per me farla finita ora? Il mondo sarebbe un posto migliore senza gente come te, ma al posto di prendere la via più facile, io ho deciso di lottare. Ogni uomo ha il diritto di redimersi, e sono qua davanti a te, offrendoti una scelta. Lo ripeterò ancora una volta, chi vi ha pagati?”. L’aura intorno al cavaliere faceva sì che sembrasse in tutto e per tutto un emissario divino. Il mercenario era completamente sbigottito, tutte le convinzioni che aveva si sciolsero come neve al sole. Non aveva ancora compreso appieno il perchè si era messo a piangere, sapeva soltanto che si stava liberando da un peso che lo accompagnava da troppo tempo. Tirò su con il naso e parlò, ” il nostro campo si trova poco dopo l’Alto Colle, sul limitare di una foresta. Ieri notte, Gragonis, il mezz’ogre che avete ucciso, è tornato al campo con un borsone pieno di monete d’oro. Ha raccolto i suoi fedeli e ci ha offerto parte dei soldi se avessimo partecipato a…a quello che abbiamo fatto. Lui avrebbe dovuto uccidere Cudgel ma siete arrivati prima voi. Non so da chi abbia preso le monete, so soltanto che erano tante, questo è tutto ciò che so”. Finì di parlare e abbassò lo sguardo. L’aura intorno a Percival si fece meno intensa, “così hai fatto la tua scelta. Adesso però verrai con me e affronterai il giudizio dei cittadini di Vogler. C’è bisogno di tutto l’aiuto possibile qua fuori”. Sviltn fece una risata amara, “sembri uscito da una fiaba del cazzo, pensi che mi perdoneranno dopo ciò che ho fatto?”, Percival lo guardò senza battere ciglio, “no, non è una questione di perdono. Gli abitanti di Vogler non ti perdoneranno mai. Compiere azioni buone non vuol dire cercare la gratitudine altrui, bensì cercare di creare la migliore versione di noi stessi”. Dopodichè, Percival liberò l’uomo e l’accompagnò fuori dalla baracca.
Piumino stava correndo nella foresta senza che gli arbusti e le radici rallentassero il suo passo. Aveva trovato delle tracce, un umanoide era passato di lì la sera precedente e si era diretto verso nord. Le impronte nel terreno raggiungevano una piccola radura e si incontravano con un altro paio di tracce. Sembravano lasciate da dei piedi muniti di artigli. Il ranger non le aveva mai viste. “Deve essere successo qua l’incontro di Gragonis”, disse tra se e sè. Le strane impronte, poi, continuavano verso nord, da dove erano venute. Piumino seguì la nuova pista fino a raggiungere un precipizio sul limitare della foresta. Il sole era ormai tramontato e le nubi coprivano la luce delle tre lune. Al di sotto del precipizio, a circa dieci chilometri di distanza, Piumino vide delle piccole luci. Centinaia di luci. Le piccole fiammelle illuminavano altrettante tende, sparse lungo tutta la valle. Piumino non credette a ciò che vedeva. “Un esercito? Che sta succedendo qua?”, non riuscì a mettere ordine ai suoi pensieri che sentì un rumore provenire dalla sua sinistra. Veloce si accostò ad una grande pietra vicino il precipizio e si coprì con il mantello di Ispin. Vide due figure risalire da una strada, poteva sentirle parlare, se quello si poteva definire parlare, ma non capiva assolutamente nulla di quella strana lingua. Sembravano più gorgoglii che parole. Rimase fermo immobile e le due figure lo superarono senza vederlo: erano incappucciate, il volto oscurato dalle ombre, ma si riusciva ad intravedere un’armatura nera e rossa. I piedi, invece, erano privi di calzatura e Piumino vide ciò che aveva lasciato quelle tracce misteriose. Un piede squamato con quattro dita artigliate. I due si allontanarono dal ranger, che veloce rientrò nella foresta e scomparve nell’oscurità.
“Un esercito, che baggianate mi tocca sentire!”, a lamentarsi era un uomo con la pancia tonda, vestito con abiti da nobile. Suo figlio, accanto, squadrava Piumino con un’aria di superiorità. “Casualmente giungono degli stranieri a Vogler e succede il finimondo! Non vi sembra strano?”. Dentro il Granchio d’Ottone l’aria si era fatta pesante. “Lord Bakaris”, disse Becklin al nobile, “non mi sembra il momento di fare congetture, se quanto dice il nostro ospite è vero, abbiamo ben altro a cui pensare”. Il sindaco Raven annuì a alla cavaliera, “grazie Becklin. L’arrivo dei nostri ospiti è capitato nel momento giusto semmai, se la situazione sul colle è stata fermata possiamo solo ringraziare i loro sforzi, quindi ciò che sostiene Lord Bakaris è privo di ogni fondamento. Signor Baltazar, lei per caso ha mai sentito parlare di queste creature squamate?”. Il mago, seduto su una sedia a dondolo, si lisciava la barba mentre guardava il fuoco scoppiettare, “mi dispiace, ma non ho mai letto di tali creature. Se stiamo per affrontare un nemico di cui non conoscevamo neanche l’esistenza fino a pochi momenti fa, le nostre probabilità di sopravvivenza diventano ancor più basse”. Baltazar finì di parlare quando la porta della locanda si aprì di scatto. Era Topsil, un ragazzo del posto. Aveva il fiato corto e teneva con sè una pergamena arrotolata in mano. “Sindaco Raven! Un cavaliere in armatura è giunto al cancello di Vogler, chiede di lei”. Il silenzio cadde tra le mura umide del Granchio d’Ottone.
Un cavaliere in armatura nera e rossa stava dritto sul suo cavallo, aspettando sul limitare del cancello d’ingresso di Vogler. Il sindaco Raven e gli altri giunsero più veloci che poterono. “Chi è tra voi che parla per il villaggio?”, disse minacciosamente il cavaliere. Il sindaco Raven fece due passi in avanti, “io”, fece, “sono il sindaco di questo villaggio, che cosa volete da noi?”. Il cavaliere non si scompose. Aprì la sua borsa a tracolla e ne estrasse una pergamena arrotolata. Senza fretta l’aprì e incominciò a leggere, ” Gente di Vogler, per ordine di Belephaion, la voce di Takhisis, stanotte ospiterete i soldati dell’invincibile Esercito del Drago Rosso. Rifiutate e morirete. Questo è il volere della Regina Drago”. Baltazar sgranò gli occhi, “non è possibile”, pensò. Il cavaliere ripose la pergamena e continuò a parlare, “avete il pomeriggio per preparare il villaggio. Non provate a fuggire o mandare un messaggero. Se lo farete”, diede un’occhiata alla sua sinistra, sopra l’altura che circondava Vogler a nord est. Là sopra, quattro cavalieri e i rispettivi cavalli, stavano osservando la scena, proprio come un falco che osserva la sua preda prima di afferrarla con i suoi artigi. Dopo una breve pausa per enfatizzare la minaccia, il cavaliere continuò, “se lo farete, verrete invasi e uccisi dal primo all’ultimo. Questo è il volere della Regina Drago”. Girò il cavallo e si allontanò dal cancello.
Dentro al Granchio d’Ottone c’era il caos: Lord Bakaris continuava a dare la colpa al gruppo di stranieri, suo figlio non la smetteva di importunare Mogh e, infatti, ricevette uno scappellotto dal goblin. Il sindaco Raven stava in silenzio, mentre Cudgel, Becklin e Percival provavano a pensare a un modo per affrontare l’imminente invasione. Il sindaco ruppe il silenzio e parlò, “faremo entrare l’esercito del Drago, non vedo altre soluzioni che non comportino altro spargimento di sangue”. Becklin si mise le mani sui fianchi e fissò il sindaco con gli occhi semi chiusi, “sindaco Raven, con tutto il rispetto, non sappiamo le vere intenzioni di queste forze armate. Se sono stati loro a commissionare il massacro sull’Alto Colle, non penso che siano diventati caritatevoli tutto d’un tratto”. “No”, rispose il sindaco, “ma non posso mandare la mia gente a combattere una guerra, siamo pescatori non soldati!”. Percival guardò Cudgel, e disse, “il popolo di Vogler no, ma i mercenari del reggimento Ironclad possono aiutarci. Se ho capito bene, quelli rimasti fedeli a te, Cudgel, sono sempre all’accampamento a Nord, vero?”. La nana annuì, “si cavaliere Brightblade, ma è impossibile avvicinarsi a Vogler con le vedette nemiche che ci osservano dall’alto. Se vogliamo contattare i miei uomini dobbiamo far fuori prima loro”. Il sindaco sbattè i pugni sul tavolo, “ma vi sentite? Già parlate di uccidere! Se facciamo entrare l’esercito, forse abbiamo una possibilità di sopravvivenza. Se decidiamo di combattere non ne abbiamo nessuna”. L’impeto di rabbia si trasformò in sconforto mano a mano che parlava.
Baltazar scosse la sua pipa. Il tabacco vecchio e bruciato cadde a terra e con il piede lo sparse sulle assi di legno. “Mi dispiace abbattere la tua unica visione della faccenda signora Raven, ma le brutte notizie non finiscono qua. Se davvero servono chi dicono di servire, non sarà in pericolo solamente Vogler, bensì tutto il continente di Ansalon”. Lord Bakaris sbuffò ancora una volta, ma Mogh gli tirò un’occhiataccia e parlò prima che lo facesse lui, “che intendi Baltazar? Parli di quella Ranchimis?”. “Thakisis, Mogh”, lo corresse il mago, “molto probabilmente non conoscete il suo nome. Si dice sia stata la divinità più malvagia del Pantheon. La Regina dei Draghi veniva chiamata. Il suo simbolo è una spirale nera come la notte, lo stesso simbolo che il cavaliere al cancello aveva sul petto. La prima cosa che mi è saltata in mente è che utilizzassero un nome così antico e tenebroso come tattica per intimorire il nemico. Ma ragionando sono giunto a ben altre conclusioni”. Baltazar guardò Percival, che stava incominciando a capire, dopodichè riprese il discorso, “i poteri divini di Percival, l’arrivo di un esercito formato da uomini e creature squamate, mi sembrano prove che indicano una sola risposta. Thakisis è realmente tornata”. Ancora una volta il silenzio tornò nella taverna. Piumino, che non sapeva molto di divinità ed eserciti del male, stava cambiando la corda del suo arco, ormai rovinata. “Io sono un tipo molto pragmatico. Non conosco i nomi delle divinità o le tattiche di guerra. Quello che so però, è che in natura se si sta fermi, prima o poi ci rimaniamo secchi. Agire per primi assicura la riuscita di una buona caccia. Senza troppi giri di parole, la cosa migliore che possiamo fare è togliere di mezzo i quattro soldati nemici. Poi facciamo avvicinare gli uomini di Cudgel. Se riusciamo a fare queste due cose senza farci scoprire sarà come non averle fatte agli occhi del nemico”.
Percival annuì in assenso, “Piumino ha ragione”, disse, “la nostra mossa migliore è portare gli uomini di Cudgel a Vogler, poi possiamo radunare gli abitanti che vorranno combattere”. Il sindaco Raven non rispondeva più, teneva le mani incrociate sul tavolo e fissava verso il basso.
“Ma se facciamo evacuare gli abitanti con le imbarcazioni verso Kalaman? ci basterà prendere tempo a quel punto”, disse timidamente Mogh. Il resto della tavolata lo fissò, poi Becklin accennò un sorriso, “sei un genio goblin! Questa è la nostra mossa migliore. Cercheremo di far evacuare coloro che non possono difendersi e poi ci ritireremo verso i moli, in modo da evacuare anche noi stessi! Sindaco…”, fece una pausa, “Raven, è la nostra unica possibilità. Ma ci serve il tuo aiuto, i cittadini ti ascolteranno se deciderai di assecondare i nostri piani”. Raven alzò gli occhi verso il gruppo. Tutti la guardavano speranzosi, come se la riuscita del piano fosse interamente nelle sue mani. Dietro il gruppo vide gli abitanti di Vogler e i feriti distesi sui tavoli, anche loro la fissavano, in attesa di un responso. “Va bene”, disse il sindaco, “per prima cosa eliminiamo i quattro soldati di vedetta, poi potremo mobilitarci per l’evacuazione”, guardò i nuovi arrivati, “grazie di non essere fuggiti. E grazie per esservi presi carico di questa situazione, capisco perchè Ispin era vostro amico. Il popolo di Vogler non dimenticherà”. Piumino, con la faccia perplessa, sollevò una questione, “ma come faremo ad avvicinarsi senza farci vedere? Sarò pure un pennuto, ma non ho le ali sfortunatamente”. “Bella questa Piumino”, rispose Mogh.
Becklin si alzò in piedi, “Forse ho un’idea. Un pò folle. Ma pur sempre un’idea”.
“Una catapulta?!”, disse scioccato Baltazar. “Corbezzoli! Non una semplice catapulta, la Gnomopulta!”, rispose Than, uno gnomo di una certa età, completamente sporco di grasso lubrificante. “L’ho costruita perchè mi annoiavo, sta sopra il forte di Thornwall. Per mille diavoli, mi piace sparare le cose!”. Il gruppo si guardò preoccupato, “ma se ci lanci in aria non ci schianteremo al suolo?”, disse Piumino non proprio convinto dell’idea dello gnomo. “Corbezzoli dico io! Ho inventato pure l’Antitonfo, un congegno che si apre a mezz’aria e che ha buone probabilità di farvi arrivare a terra incolumi”, ripose Than, poi sputò un pezzo di tabacco che stava masticando a terra. Anche Percival non era convinto dell’idea, ma tutto l’entusiasmo che mancava al gruppo si era concentrato in Mogh, che fremeva dalla voglia di essere sparato da una cat-, Gnomopulta. “Io dico che non dobbiamo avere paura, Than è un bravo inventore! Sa cosa fa e se dice che atterreremo a terra incolumi”, “probabilmente”, ci tenne a precisare lo gnomo, “se dice che probabilmente atterreremo a terra incolumi, io dico che vale la pena provarci”, finì il goblin. “Bene, andiamo allora”, disse Percival.
Il gruppo si mosse furtivamente per raggiungere la sommità della dimora di Becklin. Là sopra, sotto un telo, c’era la Gnomopulta. Than la scoprì e le preoccupazioni del gruppo non fecero che aumentare: era tutto e per tutto una catapulta, solamente con più leve e più ingranaggi. “Inizio la calibrazione. Per tutti gli gnomi senza palle! Se non l’azzecco ci sarà da ridere”. Dopo aver aggeggiato un po' con degli attrezzi, lo gnomo si asciugò il sudore dalla fronte, “siamo pronti! salite a bordo”. Percival, Mogh, Piumino e Baltazar salirono sopra una piattaforma concava e si misero a sedere. Than si avvicinò alla leva e fece “Tre. Due. Un-“. “Aspetta un attimo Than, ma l’Antitonfo?”, disse Mogh. “Corbezzoli! Me lo stavo per dimenticare. Vi immaginate che scena?”, rispose come se nulla fosse Than. Il gruppo fece una risatina nervosa. Lo gnomo rientrò nella fortezza e ne uscì pochi minuti dopo con quattro zaini con sè. “Forza metteteli, quando siete nel punto più alto tirate questa leva e fium! L’Antitonfo vi farà scendere come delle piume”. Il gruppo indossò i congegni. Erano pronti. Senza preavviso Than tirò la leva e la Gnomopulta scattò. I quattro fecero un urletto tutt’altro che virile e vennero sparati in aria. “Quanto mi piace sparare le cose”, disse soddisfatto Than, mentre guardava il gruppetto volare verso l’altura opposta.
Mogh fu il primo a tirare la leva, lo zaino si aprì, liberando un grande telo legato con dei fili ad alcune cinghie. Il telo si riempì d’aria e creò una specie di cupola. Il goblin incominciò a scendere, proprio come una piuma, verso i cavalieri sotto di lui. Anche Piumino tirò la leva e proprio come Mogh il congegno fece il suo lavoro. Percival e Baltazar non furono così fortunati invece. Tirarono le loro leve ma non successe nulla. Incominciarono a scendere in picchiata. Il mago si fece materializzare il suo libro in mano e formulò un incantesimo con la stessa velocità di un battitore d’aste. “FAN FARIM!”, urlò indicando Percival. Magicamente la loro discesa incontrollata si arrestò e proprio come Mogh e Piumino, incominciarono a discendere come foglie al vento. Peccato che stavano per atterrare proprio in mezzo ai quattro cavalieri.
Baltazar toccò terra e i quattro si girarono di scatto, “beh, salve. Piacere di conoscervi, Baltazar Dan Inkstone, al vostro servizio”, fece Baltazar. “E tu chi cazzo sarest-“, un cavaliere venne trafitto da una freccia al petto e cadde da cavallo. Un altro estrasse la spada e provò a colpire Baltazar. Tra loro si interpose Percival, che atterrò con lo scudo alzato, pronto a difendere il mago dal fendente mortale. “Forza, va ad avvisare gli altri!”, urlò uno dei cavalieri ad un altro. Quest’ultimo salì sul cavallo e lo spronò. Ma qualcosa fermò la sua partenza. Rimase fermo un secondo e poi stramazzò al suolo. Si teneva le mani intorno al collo, dalla bocca, un liquido simile ad acqua, si riversava a terra. Sopra di lui, un piccolo essere blu, stava sbattendo le ali e la sua coda, simile a quella di uno scorpione, si muoveva disegnando dei motivi circolari nell’aria. Improvvisamente Mogh sentì una voce nella sua testa, “Ciao Mogh, ti ricordi di me? Sono Luciér’Sotyl’Ghtn e sono al servizio della nostra signora, e quindi al tuo”. Mogh si ricordò di aver visto quell’essere appena aveva indossato gli occhiali di Ispin, ma pensava fosse uno scherzo del suo amico. A quanto pareva, non era così. “Beh, grazie dell’aiuto, Luc…Lucio”. L’imp fece una smorfia con la bocca e come era arrivato, scomparve. Percival era di gran lunga più abile del soldato nemico. I colpi parati con lo scudo di Ispin facevano tremare la mano del suo avversario, lasciandolo scoperto in varie occasioni. Con il più classico dei contrattacchi, il cavaliere di Solamnia, parò l’ennesimo colpo e affondò la lama argentata nel ventre del nemico. L’ultimo rimasto stava provando a colpire Baltazar, ma il suo scudo magico reggeva senza difficoltà i fendenti del soldato. “Muori vecchio! Muori!”, urlò in preda alla furia l’uomo. “Ragazzo, sarò pure vecchio ma FAN FARIM!”, dal corpo di Baltazar uscì un’onda d’urto che investì il soldato, scaraventandolo con forza contro una roccia. Rimase lì fermo, con le ossa del collo rotte. “Sai Baltazar”, disse Mogh avvicinandosi al mago, “dovresti lavorare di più sulle frasi ad effetto”. In meno di un minuto le quattro vedette erano state sconfitte.
Nell’arco della giornata Cudgel era riuscita a raggiungere il resto del reggimento Ironclad e si stavano dirigendo in posizione, davanti i cancelli di Vogler. Mogh, invece, aveva radunato tutti i pescatori del villaggio e avevano incominciato a portare le imbarcazioni vicino i moli.
Il sindaco Raven aveva riunito gli abitanti che non avrebbero combattuto nella piazza centrale e stava fornendo loro le informazioni riguardo l’evacuazione. Piumino, Baltazar e Percival stavano discutendo con Becklin su come disporre le truppe per riuscire a guadagnare più tempo possibile. Lord Bakaris e suo figlio si erano volatizzati appena si era parlato di difendere Vogler. “Quindi siamo tutti d’accordo”, disse Becklin ai tre, “darò subito le disposizioni che abbiamo accordato, ma prima avrei un favore da chiedervi. Sotto il mio letto, al forte Thornwall, c’è una cassa contenente un regalo per Darrett. Vorrei che glielo consegnaste. Quel ragazzo ha un futuro brillante davanti a lui. Sai che vuole diventare un cavaliere di Solamnia, Percival?”. Il cavaliere sorrise, “si, me ne ero accorto Becklin. Comunque va bene, lo faremo”. “Grazie ancora per quello che state facendo. Ci vediamo più tardi”. Il gruppo uscì dal Granchio d’Ottone e si diresse verso il forte.
“Beh, c’era da aspettarselo”, disse Baltazar guardando il contenuto della cassa: un’armatura nuova di pacca, sul pettorale scintillava uno stemma rappresentante una corona. “Un’armatura di Solamnia”, fece Percival prendendola, “ed è proprio della misura di Darrett. Non crederà ai suoi occhi quando gliela daremo”. Ma quel breve momento di innocente felicità venne stravolto dal suono di un corno. L’Esercito del Drago era arrivato.
Uscirono dalla torre e dall’alto videro un fiume di soldati che caricava l’entrata per Vogler. Il reggimento Ironclad rimaneva fermo sul limitare del cancello, gli scudi alzati e le lance protese in avanti. Gruppi di arcieri erano appostati sui tetti delle case, pronti a scagliare le loro frecce sul nemico. I due eserciti si scontrarono. Molti uomini dell’Esercito del Drago vennero bloccati dal muro di scudi. La stretta entrata non permetteva una carica ingente, perciò il resto dell’esercito rimase bloccato nel corridoio roccioso che portava al cancello. “Lanciate!”. Gli arcieri mirarono in alto e scoccarono le loro frecce. I soldati di Thakisis caddero a decine, ancora incapaci di trovare un buco tra le fila del reggimento Ironclad. Ma poi Piumino osservò sull’altura opposta alla loro. Degli esseri incappucciati si stavano avvicinando al bordo del precipizio. Si lanciarono uno dopo l’altro. I loro mantelli si dilaniarono in aria, scoprendo delle ali squamate. Le figure planarono fino a raggiungere le strade di Vogler. Alcuni di loro, invece, sorvolarono le forze di Cudgel e lasciarono cadere alcune ampolle. Dopo di che ci fu il caos. Le ampolle esplosero al contatto con il suolo e fiamme alte come le case incominciarono a divampare ovunque. I mercenari dell’Ironclad non riuscirono più a tenere salde le fila e persero il controllo del cancello. L’Esercito del Drago incominciò a riversarsi per le strade di Vogler.
“Forza Joshua! Al mio tre, tira!”, Mogh e gli altri pescatori stavano sistemando le ultime imbarcazioni. Molti abitanti erano già stati evacuati, ma molti altri rimanevano. Tutti ammassati vicino ai moli, aspettavano il loro turno per fuggire dalla loro casa, minacciati da una guerra sulla quale non avevano nessun potere. “Figlio di un goblin, ce l’abbiamo fatta! Voi altri”, disse Joshua al resto dei pescatori, “prendete qualsiasi cosa vi sembri un’arma e raggiungiamo gli altri nella piazza centrale!”. Prima che Mogh aggiungesse qualcosa videro delle fiamme alte provenire da nord. “Oh no, mi sa che sono entrati. Devo raggiungere gli altri!”, disse Mogh partendo a corsa. “Aspetta stupido Goblin!”, provò a fermarlo Joshua, ma ormai, Mogh era partito.
“Non vedo nulla Percival!”, disse Baltazar tossendo. Il fumo e le fiamme, ormai, avevano completamente trasformato le strade di Vogler, ancora addobbate per il festival del Martin Pescatore. I tre compagni riuscivano a intravedere alcune ombre passare e cadere attraverso l’alta coltre di fumo. Non sapevano se erano alleati oppure no. “Dove dobbiamo andare Piumino?”, disse Percival mentre si guardava intorno, con lo scudo e la spada in mano. Il kenku guidava il gruppo, “oggi tirava vento di mare, perciò stiamo andando nella direzione giusta! Di qua seguitemi”, girò un angolo e si ritrovò davanti quattro figure. Due mercenari del regimento Ironclad erano appena stati trafitti da delle lame ricurve. Il vento soffiò con più intensità e fece intravedere al gruppo gli uccisori dei loro alleati: indossavano le stesse armature dei soldati dell’Esercito del Drago, ma il loro muso era come quello di una lucertola, allungato e squamoso. Un paio di ali ripiegate sbucavano dalla schiena e li faceva sembrare ancora più grossi di quanto non lo fossero stati. Estrassero le loro spade dai corpi dei mercenari e le puntarono contro Piumino e i suoi compagni. “Cosa diavolo sono Baltazar?”, chiese Percival, pronto a colpire, “non ne ho idea ragazzo, so soltanto che ci vogliono morti”. I due draconidi partirono alla carica. Piumino estrasse la sua lama corta e ne ingaggiò uno, i colpi vibravano in aria e le loro lame si incrociavano producendo scintille ad ogni scontro. Percival caricò l’altro a sua volta. Con lo scudo alzato gli si gettò addosso. Baltazar provava a leggere dal suo libro, ma il fumo lo stava facendo lacrimare e tossire e non riusciva a concentrarsi. Poi vide un’ombra uscire da un edificio in fiamme, che si stava dirigendo verso di lui. Allo stesso tempo sentì qualcosa sopra la testa: appollaiato sul tetto stava un altro draconide, diverso dagli altri due, più smilzo e allungato. Impugnava due coltelli ed era pronto a saltare su di lui. Disperato, Baltazar provò a saltare di lato, ma fu troppo lento. Il draconide smilzo lo prese di sfuggita con una coltellata, l’altra andò a vuoto. Agilmente fece un balzo in avanti, pronto a finire il povero mago che, nel frattempo, era caduto a terra. “Fansinmir!”, l’ombra che era uscita dall’edificio in fiamme pronunciò queste parole e un dardo di acqua nera come la notte colpì il draconide smilzo in pieno muso. “Forza vecchio! Le navi sono tutte pronte, dobbiamo raggiungere i moli e svignarcela di qua!”. Baltazar, con gli occhi arrossati e la voce rauca guardò il suo compagno goblin, “Mogh, dannato furfante! Si dice Fan-Farim!”. Per quanto fossero paurosi e grandi, i due draconidi non poterono pareggiare l’abilità di Piumino e Percival. Dopo pochi scambi entrambi perirono. Alla loro morte, i loro corpi squamosi si indurirono fino a diventare pietra. Dopodichè divennero polvere. “Tutto bene Baltazar?”, disse Percival. “Si tutto bene, per fortuna è sbucato Mogh dal nulla, sennò a quest’ora sarei stato già morto e stecchito”. L’aria era diventata quasi inrespirabile negli stretti vicoli di Vogler e il fuoco non faceva che aumentare di intensità. “Verso i moli, forza!”, Piumino si rimise a capo del gruppo e, tutti insieme, ripartirono.
Parte del reggimento Ironclad era arretrata verso il centro del villaggio, cercando di non far avanzare il nemico ulteriormente. Fortunatamente il vento soffiava nella direzione opposta ai moli, così da tenere a bada le fiamme che stavano divorando gli edifici di Vogler. Tra le strade le cose si stavano mettendo male, le forze di Thakisis erano molto più numerose, a momenti avrebbero raggiunto le imbarcazioni.
Passando di casa in casa, il gruppo era riuscito ad avvicinarsi alle banchine. Sbucarono dall’ennesimo edificio e videro le acque del fiume Vingaard davanti a loro. Erano rimasti pochi abitanti da far evacuare. Il loro piano stava riuscendo. “Ci siamo! Facciamogli guadagnare un altro po' di tempo e poi saliamo su un’imbarcazione!”, disse Percival. “Tranquilli”, rispose Mogh, “ho preparato la mia Nami, è pronta per partire!”. Stavano per raggiungere i moli quando sentirono un esplosione e schegge di legno volarono ovunque. Dietro di loro, qualcosa aveva fatto saltare in aria il Granchio d’Ottone. Dal fumo si intravedeva una gigantesca ombra che sputava fuoco. “Oh no”, esclamò Baltazar, pensando al peggio. Per fortuna la vista di Piumino era ben più acuta di quella di un umano e notò alcune figure che stavano spingendo un enorme macchinario. Sembrava una caldaia in ferro con le sembianze di una lucertola, quattro draconidi erano disposti ai lati e aggeggiavano con delle leve. Alcuni tubi sputavano un fumo di colore bianco, mentre dalla bocca del costrutto uscivano spruzzi di fuoco, che incendiavano ogni cosa che toccavano. Percival alzò la spada al cielo, “non dobbiamo farlo avvicinare alle imbarcazioni!” gridò. Due pescatori che impugnavano alcuni attrezzi risposero alla chiamata del cavaliere e raggiunsero i quattro compagni. “Baltazar, ci sono quattro di quelle creature che stanno comandando quel coso, ne sono sicuro”, disse Piumino. Il mago guardò speranzoso il kenku, non riusciva ancora a vedere bene ciò che aveva davanti, “allora non è una creatura! Si deve trattare di una specie di costrutto infernale, ma se facciamo fuori coloro che lo guidano non dovrebbe essere più un problema”, rispose Baltazar. “Allora colpiamoli! Per Vogler!”, i due pescatori caricarono i loro nemici con un grido di battaglia. “No aspettate!”, provò ad avvertirli Baltazar, ma i rumori della battaglia coprirono la sua voce. La bocca della mostruosità di ferro si spalancò e ne uscì un getto di fiamme. I due pescatori furono presi in pieno, non ebbero neanche il tempo di gridare per il dolore, che erano già ridotti a cenere. Infatti il getto infiammato era talmente potente che raggiunse i quattro compagni sulle banchine. Percival si mise davanti a Baltazar, alzò il suo scudo verde smeraldo e parò le fiamme. Mogh e Piumino si mossero veloci e si lanciarono di lato, schivando il getto infernale. Sentirono un rumore simile a una macina di pietra che frantuma il grano: il costrutto si stava avvicinando. Il colosso di ferro uscì dalla nube di fumo, in direzione dei moli. “Baltazar, fermalo!”, gridò Percival con il braccio abbassato. Era riuscito a parare il gettito mortale ma ne aveva pagato le conseguenze. Il mago era allo stremo delle forze, continuava a tossire ma non si arrese. Sfogliava le pagine del suo libro magico come se avesse tutto il tempo del mondo, intanto il marchingegno avanzava inesorabile, spezzando le assi di legno sotto i suoi cingoli. La bocca del costrutto si aprì nuovamente. Mogh comparve davanti al drago di ferro con le braccia aperte, come se quel gesto disperato potesse fermare miracolosamente l’avanzata del colosso. I quattro draconidi risero, sbeffeggiando il goblin. Le acque del fiume, dapprima calme, si agitarono. Poi due colonne di acqua si alzarono e si lanciarono contro la bocca del costrutto. Il getto di fiamme stava per uscire ma venne investito in pieno dalle colonne d’acqua. Una densa nube di vapore bianco uscì dalla bocca del drago di ferro. “Così Baltazar!”, esclamò Percival. Ma il mago non aveva ancora pronunciato la formula magica. Nel frattempo Piumino non aveva perso tempo, era corso dietro al costrutto e aveva ingaggiato due dei draconidi. Il primo, colto di sorpresa, non aveva potuto fare nulla, era stato trafitto alla schiena, morendo sul colpo. L’altro aveva lasciato una delle leve di controllo del costrutto e aveva estratto la spada curva, “skri’gotda numur!”, gridò agli altri due, che continuarono a far avanzare la macchina infernale. Mogh era in ginocchio. Per spostare quella quantità d’acqua aveva usato tutta la sua energia, “avrei proprio bisogno di un bastoncino di pesce caramellato”, disse. Finalmente Baltazar finì il suo incantesimo. I due draconidi provarono a spingere il costrutto ma non ci riuscirono. I cingoli erano completamente ghiacciati. Si abbassarono per vedere che stava succedendo e Percival si abbattè su di loro con tutta la sua furia. La spada di Ispin si illuminò di un’energia bluastra. Bastò un sol colpo. Il vapore rimasto in aria venne dissipato come se colto da un’onda d’urto e i corpi dei due draconidi, tranciati a metà, divennero polvere. L’ultimo rimasto in vita provò a bloccare Piumino usando la forza bruta. Riuscì a far volare la spada del ranger a pochi passi di distanza e gli si gettò addosso. Entrambi caddero a terra e rotolarono sulle ceneri ancora calde degli edifici di Vogler. La forza del draconide superava di gran lunga quella del Kenku, infatti Piumino non poté far altro che rimanere schiena a terra, con le mani squamate della creatura che gli si stringevano intorno al collo. Gromz gli aveva insegnato che è nei momenti di panico che bisogna restare lucidi. Perciò non cercò di divincolarsi ma estrasse il suo coltello, un dente affilatissimo di Warg, e lo piantò nel braccio del draconide che mollò la presa. A quel punto, Piumino, fece una capriola all’indietro e poi si dette uno slancio in avanti, affondando la lama nel collo dell’avversario.
Tutti e quattro erano completamente sfiniti, a malapena si reggevano in piedi. Guardando in direzione del cancello di Vogler, non si vedeva altro che fumo e fiamme. Erano rimaste pochissime imbarcazioni pronte a partire, il loro piano aveva avuto successo. “La mia barca è quella”, disse Mogh mentre indicava una piccola barca da pesca ormeggiata, nel frattempo anche le ultime imbarcazioni erano partite. Il gruppo salì a bordo della barchetta, quando sentirono un uomo gridare, “aspettatemi!”. Un umano stava correndo verso la loro direzione, lo avevano già visto, era uno dei mercenari di Cudgel, Jeyev. Con un balzò saltò dalla banchina e atterrò in acqua vicino a loro. “Aiutatemi a salire”, disse. Percival allungò il braccio e lo tirò su. “Jeyev, giusto?”, gli chiese Percival. Intanto Mogh aveva incominciato a remare, allontanandosi dal porticciolo di Vogler. “Si, sono io cavaliere Brightblade”, rispose Jeyev. In mano teneva un elmo cornuto, lo stesso indossato da Becklin. Percival lo notò, “deve essere stato un vero e proprio massacro, erano troppi. Cudgel e Becklin non ce l’hanno fatta?”. Jeyev porse l’elmo a Percival e rispose, “Erano vive quando Becklin mi ha affidato il suo elmo. Stavano provando ad allontanare parte delle forze nemiche da Vogler, ma dubito fortemente ci siano riuscite. Mi ha solamente chiesto di dirvi di contattare il concilio di Kalaman e di raccontare cosa è successo”. Percival prese l’elmo in mano e lo fissò, “non dimenticheremo il loro sacrificio. Non dimenticheremo il sacrificio di nessuno di loro,” disse con la voce traboccante di rabbia. Dietro di loro, Vogler si faceva sempre più lontana. Mano a mano che il sole si abbassava, il cielo sopra il villaggio si tingeva di sfumature rosse e nere. Percival alzò la testa dall’elmo e vide le facce dei suoi nuovi compagni. Tutti avevano il solito sguardo. Lo sguardo di chi vuole vendetta.
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